... e lo chiami amore? frammenti di esistenze
Storia
di Rosa (Sicilia, 1937)
Sono nata nel 1920 a Petralìa un paese delle
Madonie, le montagne nel cuore della Sicilia dove cresceva il grano. Mio padre
sperava in un maschio e mi voleva chiamare come suo padre Giuseppe e quindi mi
sarei dovuta chiamare Pina. Ma mia mamma appena mi vide disse “sembra un
bocciolo di rosa e dato che non ti ho mai chiesto niente ora ti chiedo di
chiamarla Rosa, come mia madre”.
Io sono cresciuta con mia nonna, mia madre
lavorava sempre. Mio padre era duro, non parlava e mi diede in sposa a 16 anni a un uomo più vecchio di me e non molto
bello, lo fece solo perché aveva un campo e avrebbe arricchito la famiglia. Ma
le cose non andarono molto “dritte” come diceva la nonna…La nonna diceva sempre
che la felicità è data dalle piccole cose di ogni giorno e che l’importante è
che le cose nascano e vadano “dritte”.
Al matrimonio fece da testimone il fratello
di mio marito, che non avevo mai visto. Era alto con gli occhi verdi come i
miei. Ci guardammo e distogliemmo subito lo sguardo. Gli stessi occhi, gli
stessi capelli ricci e scuri, mi chiesi perché Dio non mi aveva data in sposa a
lui.
Ripartì subito ma quando tornò fu l’inferno.
Vivevamo tutti nella stessa grande casa. Io, mio marito, i suoi genitori e suo
fratello. La casa colonica era ben divisa, ma spesso mangiavamo insieme e ogni
volta che vedevo Federico mi prendeva un desiderio, un grande calore nella
pancia, un tormento: “Cu save perché?”
Un giorno mio marito e Federico lavoravano
nei campi e io portai loro il pranzo. Mangiammo, mio marito torno nel campo
basso e io mi incamminai verso casa. Federico mi seguì, all’altezza del fienile
mi prese un braccio stringendolo molto forte e mi trascinò. Io ero spaventata e
non capivo perché volesse farmi così male.
Poi ci fermammo, e in un attimo fu sopra di
me.
Sentii di nuovo quel calore così potente
nella pancia.
Mio marito non faceva mai l’amore con me, e
quando lo faceva mi prendeva come faceva con le pecore e tutto finiva in pochi
minuti. Pensavo di non piacergli abbastanza. Mi faceva sentire brutta, dopo
solo due anni di matrimonio mi sentivo una donna brutta e senza amore da dare.
Non aveva mai per me un gesto gentile. Quando mi guardava con quei suoi occhi
spenti significava che voleva farlo. Non mi baciava, non faceva nessun gesto di
tenerezza, non mi teneva la mano, non mi carezzava la testa, non mi chiedeva
mai come stavo.
Federico mi stava spogliando e sentivo quel
calore nella pancia che non avevo mai sentito con mio marito. Federico stava
dicendo “Rosetta, Rosetta: sei mia, sei mia” con violenza mi stava possedendo,
ero di nuovo un oggetto come lo ero per mio marito e prima ancora per mio padre
che mi aveva scambiata per un campo.
Stava entrando dentro di me e mi sentivo infinitamente triste, mi
baciava la bocca e i seni. A un tratto vidi gli occhi di mio marito, erano
accesi, furenti!
Prese la mira e con il fucile sparò due, tre
colpi al mio fianco, proprio lì sulla pancia lì dove sentivo quel calore e
sulla schiena di suo fratello. Ci uccise entrambi.
I funerali furono dopo una settimana, venne
tutto il paese, Petralìa soprana e anche sottana. E tutti fecero le condoglianze a mio marito.
Qualche uomo d’onore gli fece anche i complimenti.
Sono sicura che l’unica che mi pianse
veramente fu nonna Rosa.
Storia
di Francesca (Ferrara, 1969)
Sono nata nel 1945 in una famiglia molto
povera ma che mi ha educata al rispetto e alla dignità.
Quando ho conosciuto Vittorio sono stata
affascinata dal senso dell’umorismo e da quei suoi modi da cavaliere, ma erano
una maschera, avrei dovuto capirlo quando vidi per la prima volta casa sua, così
sporca, trasandata e caotica: come la sua testa!
Ricordo che c’era anche una foto di gerarchi
fascisti sopra al letto di cui si giustificò in qualche modo che non ricordo.
Che i suoi fossero fascisti lo sapevo, lo sapevano tutti a Ferrara ma che lui
fosse rimasto fascista anche dopo tutto quello che era successo mi sembrava
assurdo, impossibile. Invece era proprio così. Eravamo diversi non c’è che
dire, mio nonno era sparito nella lunga notte del ’43, mio padre l’unico della
famiglia a non essere ebreo e aveva nascosto sua moglie e i figli in campagna.
Io ero nata alla fine della guerra. E nel 1969 mi fidanzavo con un fascista. Un
fascista dentro, perché mica lo diceva di essere fascista. Ma lo era
profondamente e in molti sensi. Era maschilista. Quei suoi modi da cavaliere
erano solo il suo modo di correre dietro a tutte le donne e anche di rendersi
visibile dato che non era affatto un adone.
Mi ricordo che una volta mi chiese di
aiutarlo a fare il bucato. Le donne cominciavano a scendere in piazza e io
facevo il bucato del mio fidanzato, gli pulivo la casa. Perché?
Poi un giorno uscimmo con Enzo, il mio amico
di infanzia. Enzo era gay, ero la sua amica e mi trattava con grande affetto.
La gelosia di Vittorio divenne insostenibile e antipatica, le sue scenate
davvero insopportabili e assurde.
Una sera Enzo fu picchiato e lasciato per
strada e insultato per la sua omosessualità. Allora però non capii che Vittorio
aveva delegato lo sfogo della propria gelosia, meschinità e violenza a un
gruppetto di giovani di destra.
Alla fine io e Vittorio ci lasciammo. Lo
lasciai io perché non sopportavo più le sue angherie. Tutto ciò che facevo
veniva sminuito e denigrato. Avevo appena cominciato a insegnare e mentre gli
raccontavo del mio rapporto con gli allievi mi disse “Non puoi raccontare a me
le stesse ciance che racconti a loro, non sono stupido” . Mi ricordo un’altra
volta che avevo cucinato per lui e mi disse “cos’è questa roba?”. La
mortificazione e la denigrazione facevano parte della sua arte manipolatoria.
Così lo lasciai. Ero delusa perché pensavo
fosse un’altra persona, perché i progetti fatti insieme scomparivano e capii
presto che lui già mi aveva tradito. Vittorio da bravo macho raccontò a tutti
che era stato lui a lasciarmi, che si annoiava con me e si era innamorato di
un’altra. Io non soffrii, mi ero già del tutto disamorata, e dopo qualche tempo
accettai la proposta di matrimonio di Enzo.
Ancora oggi, dopo tanti anni, Enzo è l’unico
uomo con cui sono riuscita a instaurare un rapporto alla pari e basato su
principi condivisi, abbiamo scelto di vivere insieme regalandoci grandi spazi
di libertà.
Storia
di Anna (Torino, anni 50)
Mio padre era un tipo schivo, si era
trasferito negli anni in cui era normale migrare dal Sud al Nord Italia per cercare
lavoro ed era arrivato a Torino per fare l’operaio alla Fiat. Dopo qualche mese
di vita “arafazzata” e di stanze condivise con altri migranti c’era riuscito ad
avere un lavoro in fabbrica. Passato un anno aveva conosciuto mia madre e una
volta sposato si sentiva un uomo realizzato.
Quando sono nato è stato molto fiero di avere il primogenito maschio, poi
di figli non ne sono venuti altri.
Non ho mai avuto un gran rapporto con mio
padre, lavorava e dormiva, lavorava e andava alle partite di calcio. Non
sembrava avere molta nostalgia del suo paese e non andavamo spesso giù dai
nonni.
Quando ero piccolo mio padre si iscrisse al
partito comunista, ma non ne parlava molto. Io invece da ragazzo mi interessai
molto di politica, così non capivo come mio padre che era comunista non
considerasse i diritti delle donne.
Mia madre era rimasta sempre in casa e non
solo per il suo mestiere di casalinga, ma perché mio padre era terribilmente
geloso. Fra loro c’erano continui battibecchi.
Lei aveva parlato troppo a lungo con il
macellaio, o sorriso al fruttivendolo o passato troppo tempo fuori per venirmi
a prendere a scuola.
La mamma subì la gelosia assurda di mio
padre. Assurda perché lei aveva sempre continuato ad amare quell’uomo
piccoletto, con gli occhi vivaci e di grandi speranze. Aveva continuato ad amarlo e a servirlo anche
quando lui si era dimenticato di lei, anche quando aveva smesso di accorgersi
che era andata dal parrucchiere o che si era messa un nuovo vestito. Anche
quando non le rivolgeva quasi più la parola.
Credo che ci siano molti modi di ferire e non
solo con il coltello. Chissà se mio padre si rese mai conto di quello che fece
a mia madre.
Storia
di Valentina (Brianza, oggi)
Caro Diario,
sono così stanca e mi sento così sola.
Davide ormai non lo riconosco più è diventato
un’altra persona. Da quando ci siamo trasferiti la mia vita è diventata così
triste. Non ho più amiche.
Davide è molto preso dal nuovo lavoro dice
che noi che veniamo dal Triveneto qui in Brianza siamo i benvenuti perché siamo
dei gran lavoratori. Sarà anche vero però intanto qui le mogli non lavorano ma
stanno a casa a lucidare i pavimenti. E, dato che Davide è diventato vice
presidente della società, io non posso fare più la segretaria, l’unico lavoro
che sapevo fare, “non mi pare il caso, che figura ci farei?” mi ha detto.
Mia madre dice che sono una scema, che dovrei
essere contenta e uscire a fare spese con le amiche. Che tutte vorrebbero
essere al mio posto ma io mi annoio a morte. Passo i pomeriggi davanti alla tv
a mangiare cioccolata e a guardare film romantici.
Sono ingrassata. Ma non per la cioccolata.
Sembra che abbia un problema alla tiroide.
Davide non mi ha nemmeno accompagnato in
ospedale a fare gli esami, mia madre è lontana e qui non ho nessuno e sono
andata da sola.
Non so non vedo più in là, non vedo il mio
futuro, non riesco immaginarmelo.
Poi stanotte tutto è peggiorato. Mi sono
svegliata e Davide non era ancora venuto a letto. Pensavo che stesse lavorando
e invece l’ho visto che si masturbava davanti al computer.
Non so se fosse in chat o su youporn ma che
differenza fa? Non sono nemmeno gelosa, e non ho nemmeno pensato che avesse
fatto qualcosa di grave. Ha fatto solo
ciò che desiderava.
Solo che oggi vedo tutto lo squallore e la
solitudine della mia vita.
Storia
di Angelica (Milano, oggi)
Mi chiamo Angelica sono nata nel 1968 a
Milano.
I miei hanno divorziato quando ero piccola e
io sono rimasta con mia madre, una donna
forte, bella e romantica. Le dico
sempre che le mie relazioni con gli uomini sono un disastro perché lei mi ha
cresciuta con i film con Cary Grant!
Non c’è stato un uomo fra quelli che ho
incontrato che fosse lontanamente simile all’idea che mi ero fatta degli uomini
con quei vecchi film in bianco e nero. Cary Grant, Gary Cooper, Humphrey Bogart
impersonavano eroi, uomini integerrimi, dai grandi ideali, belli, eleganti, educati,
sensibili e affidabili. Cinema, teatro, letteratura tutto sembra indurre a credere
che uomini così esistano ma io non li ho incontrati forse sono esistiti in
un’altra epoca.
Persino mio padre ha lasciato mia madre per
una velina di canale cinque semideficiente che ha la metà dei suoi anni.
Eppure mia madre è molto bella, molto
intelligente… troppo? Ebbene sì, non ci crederete ma le ha detto proprio così
“sei troppo per me, io devo lavorare, voglio fare carriera ho bisogno di una
donna più rilassante”.
Può esserci una delusione più grande? Lei lo
aveva sposato per amore.
Io non mi sono sposata, ho incontrato solo
mezze calzette e preferisco stare sola che annoiarmi con qualcuno. Un vecchio
amico incontrato per caso a una mostra, rivedendomi dopo vent’anni, mi ha
chiesto: “come stai? Ti sei sposata? Hai dei figli?”
Ho
risposto “No, io sono felice!”
(l’attrice
danza da sola sulle note di Night and Day)